La "banca" interna

da Annalisa Gerola

All’interno della Manifattura Tabacchi funzionò, fino agli anni ’60 del secolo scorso, una banca di Mutuo Soccorso voluta e gestita dalle zigherane, per ottenere prestiti a interessi zero. Un’importante iniziativa di solidarietà, nata spontaneamente in un ambiente dove arrivarono a lavorare fino a 1.400 donne. Dialogando, nelle brevi pause, le operaie scoprirono che i problemi e le preoccupazioni erano più o meno gli stessi per tutte loro: non solo raggiungere il cottimo (ossia il numero di sigari giornalieri che dovevano essere confezionati per avere lo stipendio pieno), ma anche far fronte alle spese quotidiane o alle emergenze della vita, per le quali i pochi soldi guadagnati non bastavano mai.

Per aiutarsi, almeno dal punto di vista economico, le donne decisero perciò di fondare una sorta di banca di Mutuo Soccorso. Ogni “banca” era composta da 25 socie, provenienti dallo stesso paese o dallo stesso quartiere. Il tesoriere era una donna anziana scelta per la sua affidabilità e saggezza. A lei, tutti i mesi, le operaie versavano 2 fiorini, più o meno 50 euro oggi. La socia che aveva bisogno di un prestito si rivolgeva direttamente al tesoriere e il denaro chiesto veniva prestato senza interessi. Se, per esempio, per fare la dote alla propria figlia, una donna chiedeva l’equivalente del deposito di un anno, doveva poi versare, per un anno, la solita quota mensile, senza però poter chiedere altri prestiti.

Si decise di chiamare l’istituto “Banca Giuditta”. Una scelta non casuale. Il nome, Giuditta, era infatti quello di una signora di Valbusa, che aveva dato vita ad una banca di Mutuo Soccorso sul modello delle zigherane e che, tradendo la fiducia dei suoi assistiti, era sparita con tutti i soldi. Quel nome divenne per tutte un monito a scegliere con accuratezza il tesoriere e per la donna-tesoriere un’esortazione all’onestà.